“Una sentenza importantissima, quella emessa stamattina dalla Corte europea dei diritti umani, perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro, ritenute corresponsabili delle violenze subite in base a valutazioni legate alla loro vita privata che continuano a essere usate per motivare sentenze condiscendenti verso gli autori delle violenze, nonostante ciò sia vietato da nome interne e internazionali, a cominciare dalla Direttiva dell’Unione europea sulla protezione delle vittime di reato, dalla CEDAW e dalla Convenzione di Istanbul”.
Ad affermarlo Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, in merito al ricorso alla CEDU presentato dalle avvocate Sara Menichetti e Titti Carrano di D.i.Re contro la decisione della Corte d’appello di Firenze che aveva ribaltato la sentenza di condanna degli imputati dello stupro di gruppo ai danni di una giovane donna, sulla base della presunta non credibilità della vittima a causa di una valutazione moralistica della sua vita privata.
La Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto, come sostenuto nel ricorso, che la tenuta del processo ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.
“La Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall’art. 8 non sono stati adeguatamente tutelati in considerazione del contenuto della sentenza della Corte d’Appello di Firenze”, si legge nella sentenza. “Ne consegue che le autorità nazionali non hanno tutelato la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza è parte integrante”.
“La sentenza di Strasburgo rende giustizia a tutte le donne che quando denunciano, devono affrontare un percorso giudiziario in cui subiscono vittimizzazione secondaria, con l’effetto di scoraggiarle dal presentare denuncia”, afferma Titti Carrano. “La Corte di Strasburgo ritiene deplorevole e irrilevante il riferimento nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Firenze alla vita personale, alle attività artistiche culturali, all’abbigliamento e all’orientamento sessuale che sono poste alla base dell’attendibilità della testimonianza della donna, con una grave ingerenza nella sua vita privata”, spiega l’avvocata.
“La vita e la dignità di questa donna sono state calpestate cosi come sono state calpestate la riservatezza, la dignità, l’immagine. Eppure da tempo le norme nazionali e internazionali richiamate in questa sentenza della CEDU chiedono la tutela e la protezione della vittima”, aggiunge Carrano.
“La cultura dello stupro resiste in Italia insieme agli stereotipi e ai pregiudizi sessisti sul ruolo della donna che sono stigmatizzati dalla Corte di Strasburgo e che leggiamo nella sentenza del tribunale di Firenze, a conferma dell’arretratezza culturale del sistema giudiziario italiano”, sottolinea Veltri.
“Mi auguro che il governo italiano accetti questa condanna senza ricorrere alla Grande Camera e che si adoperi concretamente per attività di prevenzione e formazione degli operatori di giustizia affinché non si ripetano ulteriori episodi di vittimizzazione secondaria nei processi penali e civili, superando una cultura carica di stereotipi e pregiudizi”, afferma Carrano.
“Da tempo denunciamo il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze. La magistratura italiana deve evitare di usare strumenti che colpevolizzano le donne e rispettare le convenzioni internazionali a tutela delle donne che subiscono di violenza”, conclude la presidente di D.i.Re.