Antonella Veltri*
La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per aver sottovalutato il rischio vissuto da una donna e dai suoi figli.
La storica sentenza del 2 marzo scorso evidenzia che la battaglia di una donna che subisce violenza si compone di “meccanismi che a volte si inceppano” e, nonostante denunce, richiami o ricoveri ospedalieri, alla fine giunge all’insuccesso.
Anche le denunce lasciano il tempo che trovano se non c’è poi qualcuno, una avvocata, un centro, vicino alla donna che spinge e rilancia il caso.
Con orgoglio, stima e affetto vogliamo congratularci da questa pagine a Titti Carrano, presidente D.i.Re, legale autrice del ricorso a Strasburgo insieme alla collega Sara Menichetti.
Titti Carrano ha dichiarato all’Ansa che “la donna si era rivolta ad una casa rifugio, ma il comune non aveva voluto pagare la retta per assenza di fondi e perché non riteneva grave la sua situazione… Lo stato non è intervenuto per proteggere e tutelare questa donna… È mancato tutto, l’assunzione di responsabilità, la messa in campo di tutto ciò che era possibile dal punto di vista istituzionale per proteggerla…. Non riconoscere la violenza, non ritenerla grave, non ritenerla una forma di discriminazione nei confronti della donna è una grave violazione dei diritti umani”.
“Siamo felici – conclude Titti Carrano – che la Corte di Strasburgo abbia considerato tutti gli elementi che abbiamo sottoposto fino ad arrivare alla condanna dell’Italia”.