*Anna Pramstrahler
I Centri antiviolenza della rete D.i.Re, e non solo, da diversi mesi sono in agitazione dentro la marea di Non una di meno, un giovane movimento di dimensione internazionale che, a partire dalla lotta contro la violenza maschile sulle donne, sta dando voce a un pensiero e una pratica politica di critica radicale all’attuale modello sociale, patriarcale e maschilista.
Per l’8 marzo è stato convocato uno sciopero globale delle donne che vede, in prima fila i centri antiviolenza, nati dai movimenti delle donne, e dentro Non Una di Meno, con cui condividono e promuovono i medesimi valori e obiettivi.
Dopo la manifestazione nazionale dello scorso 26 novembre a Roma, che ha visto scendere in piazza oltre duecentomila donne, tantissime delle quali giovanissime, in un incontro di tre generazioni di donne che si sono nuovamente autodichiarate femministe.
Dopo il successo dell’assemblea convocata a Bologna il 4-5 febbraio, il movimento ha convocato lo sciopero globale delle donne per l’8 marzo. È una sfida che affronteremo tra pochi giorni, certe di registrare una grande partecipazione e una rottura con quello che, in questi ultimi decenni, ha significato l’8 marzo in Italia.
Sarà un 8 marzo speciale, irrompente, gioioso e rabbioso. Niente mimose e cioccolatini, niente ricorrenze istituzionali. Cortei variopinti, come quello di Roma, in testa le donne dei vari femminismi, insieme ai collettivi LGBT, associazioni culturali, sindacati, centri sociali e a chiunque si considera antisessista e condivida la nostra lotta contro la violenza alle donne. È evidente che questa composizione “includente” sia una novità per il movimento
femminista.
Ha suscitato discussioni e spaccature con alcuni gruppi di donne, e ciononostante ha preso piede in tutte le assemblee cittadine Non una di meno, raccogliendo adesioni, e il coinvolgimento di volti nuovi e vecchi che, insieme, non si incrociavano da decenni. L’8 marzo le donne, in almeno 40 paesi del mondo, incroceranno le braccia dal lavoro produttivo e riproduttivo, manifestando contro un sistema sociale, economico, culturale segnato di violenza, discriminazione e sessismo.
I centri antiviolenza, associati a D.i.Re, e non solo, denunciano la presenza di un forte rischio di burocratizzazione e istituzionalizzazione. Hanno intercettato e contrastano il pericolo di svuotamento del valore politico e il depauperamento degli spazi di libertà per le donne all’interno dei centri. Ciò in forza delle pressioni e dei tentativi di controllo istituzionale. Il codice rosa è un esempio. Esso apre un percorso di medicalizzazione, di psicologizzazione e patologizzazione, che toglie alle donne la libertà di scegliere un percorso autonomo e individuale di uscita di violenza.
I Centri, in quanto luoghi privilegiati di confronto quotidiano con le difficoltà delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza, si scontrano con ostacoli, pregiudizi, arretratezza culturale e scarse risorse.
Per questo tante donne vivono in una condizione permanente di paura e soggezione. Alcuni Centri hanno scelto di chiudere e partecipare alle iniziative in piazza, considerando che lotta portata avanti è a favore della stabilità, qualità e indipendenza di tutti Centri.
Altri trasferiranno l’accoglienza in piazza, altri invece apriranno le loro sedi alla cittadinanza per farsi conoscere. Le donne che accedono ai Centri sono state invitate a partecipare alle iniziative pubbliche e hanno partecipato alle assemblee e alla manifestazione del 26 novembre. Comune a molte realtà, è il rischio di chiusura per mancanza di fondi. In molti casi è impossibile aprire case rifugio, e tutte soffrono di una mancanza di stabilità e scarsa collaborazione da parte degli enti locali e delle autorità pubbliche. Noi donne siamo tutte potenziali vittime di violenza, discriminazione, sfruttamento e per questo che insieme a molti altri gruppi e associazioni di donne stiamo lavorando alla redazione di un nostro Piano nazionale femminista contro la violenza.
Lo sciopero globale dell”8 marzo sarà una grande e straordinaria giornata di lotta. I Centri antiviolenza, contro ogni tentativo di istituzionalizzazione, dovranno essere potenziati e stabilizzati, ma soprattutto restare luoghi di ricostruzione e creazione di forza e libertà delle donne.