Mettere al centro la soggettività femminile come forza trasformativa e trainante il cambiamento per raggiungere la piena realizzazione dei diritti delle donne. Questo l’invito rivolto ai movimenti delle donne da Bianca Pomeranzi che fa parte del CEDAW Committe.
Francesca Pidone – Quale il bilancio a 20 anni da Pechino?
Bianca Pomeranzi – Partiamo da una certezza: lo spirito di Pechino c’è ancora e si fa sentire. La Piattaforma ha una sua tenuta nonostante i diversi cambiamenti a livello internazionale, inclusi quelli nella membership che vede nuovi paesi alcuni dei quali molto “conservatori” rispetto alla relazione tra uomini e donne. Rispetto a Pechino il mondo è cambiato. C’è il protagonismo dei Paesi dell’America Latina e dei paesi emergenti di Asia e Africa ed anche il nuovo “fondamentalismo” dopo le cosiddette “primavere arabe”. Nel bilancio di Pechino +20 va considerata questo nuovo assetto istituzionale che spiega in parte anche la grande delusione della società civile che riponeva grandi aspettative sulla Dichiarazione, specialmente rispetto ai diritti sessuali e riproduttivi. Sotto questo profilo la Dichiarazione è apparsa addirittura regressiva rispetto a Pechino.
Lo scorso marzo alla CSW si è parlato di violenza contro le donne, ma parlarne, senza uno sguardo più ampio crea ambiguità perché il discorso prende una piega quasi esclusivamente di sicurezza, privilegiando questa dimensione rispetto ad altre azioni come la prevenzione e la trasformazione culturale.
A 20 anni da Pechino si è un po’ persa la voce collettiva delle donne che chiedeva “trasformazioni radicali” in nome del femminismo trans-nazionale. E’ fondamentale recuperare quella voce anche per far fronte al quadro di cambiamento che abbiamo dinanzi a noi. Bisogna tenere presente che le Nazioni Unite stanno discutendo l’Agenda di sviluppo Post 2015 in un momento in cui il futuro si prospetta precario e alla ricerca di un modello di sviluppo alternativo a quello neo liberale o liberista ormai fallito. Le donne devono essere ascoltate.
FP – Uno sguardo all’Italia rispetto alle donne. Quale è la fotografia?
BP – In Italia, come a livello internazionale, non si riparte dalla soggettività trasformativa delle donne. Il quadro, inoltre, è aggravato da una “crisi”, non ancora appieno valutata. Probabilmente si è archiviato troppo velocemente il ventennio berlusconiano senza guardare a cosa ha significato per le relazioni tra uomini e donne e tra generazioni. Va fatta un’analisi molto accurata. E’ faticoso ma ne vale sicuramente la pena.
FP – Qualche parola sul GREVIO, organismo di monitoraggio della Convenzione di Istanbul, recentemente votato.
BP – Dal GREVIO ci si aspetta una giurisprudenza più avanzata sul tema della violenza. Per l’Italia siamo orgogliose della presenza di Simona Lanzoni, una donna con una visione amplia con esperienze lavorative in diversi paesi difficili. Ho preso anche atto con piacere che è stata eletta tra le componenti Feride Acar per la Turchia. Essendo lei all’interno anche della Commissione della CEDAW è pensabile una certa continuità tra questi organismi internazionali che si occupano di diritti delle donne.