L’Osservatorio nazionale contro la vittimizzazione istituzionale è un’iniziativa della rete D.i.Re per far fronte all’inadeguatezza delle risposte di servizi socio-sanitari, tribunali e delle forze dell’ordine, alle donne che svelano o denunciano violenze e maltrattamenti.
Il progetto è stato presentato durante la conferenza stampa per la Giornata Internazionale contro la violenza alle donne e coinvolgerà gli 84 centri antiviolenza della rete D.i.Re. Saranno svolte indagini sia qualitative e quantitative sui casi di rivittimizzazione da parte delle istituzioni e realizzate iniziative per denunciare le smagliature di un sistema che espone le donne al controllo e alle violenze di partner o ex partner. La seconda parte del progetto prevede azioni, interventi e proposte per eliminare le criticità che limitano la possibilità per le donne di vivere libere dalla violenza.
Il problema sta emergendo fortemente da tempo e viene denunciato non solo dalle operatrici e delle avvocate D.i.Re, ma anche da donne vittime di violenza che sono state penalizzate nei procedimenti per la separazione e accusate di essere madri ostative, malevole o alienanti quando chiedono la protezione dei figli che hanno assistito a violenze o sono stati maltrattati o abusati.
Nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nei consulenti tecnici d’ufficio persistono pregiudizi e stereotipi sessisti e misogini che fanno parte ancora della nostra cultura nonostante le conquiste delle donne degli ultimi 70 anni. Tra le criticità pesa la formazione inadeguata che non permette di riconoscere la violenza e di distinguerla dal conflitto. L’ estate scorsa, il Gruppo avvocate D.i.Re ha presentato l’indagine Il (non) riconoscimento della violenza nei tribunali civili e dei minori che aveva l’obiettivo di verificare l’applicazione dell’ Articolo 31 della Convenzione di Istanbul sulla custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza che impone di prendere in considerazione la violenza e la sicurezza della madre quando nei tribunali si decide sull’affidamento dei figli e vieta la mediazione di coppia. I risultati dell’indagine hanno rilevato come nei tribunali civili e dei minori la violenza, così come la Convenzione di Istanbul, non sono mai nominate ma si parla di conflitto o di aspro conflitto. Un’altra indagine condotta nel 2020 da Marianna Santonocito e coordinata da Patrizia Romito (Università di Trieste) ha evidenziato la scarsa competenza in materia di maltrattamento domestico e violenza assistita dei Consulenti tecnici d’ufficio che sono incaricati di svolgere valutazioni sulle capacità genitoriali nelle cause per l’affido dei figli e la persistenza di pregiudizi misogini sulle donne che “provocano la violenza”. Le donne insomma non vengono credute.
Inoltre si è imposta la tendenza alla conservazione dei legami familiari a prescindere dalla qualità degli stessi. Dopo la approvazione della legge 154 del 2006 sull’affido condiviso, il principio della bigenitorialità viene affermato in maniera acritica e nei tribunali si premia la “friendly parental provision” senza individuare i casi di violenza anche in presenza di procedimenti penali paralleli. Questa situazione, lo ha denunciato nel 2020 il Grevio,
può portare a situazioni in cui le vittime sono messe sotto pressione affinché facciano cadere le accuse penali nei confronti del perpetratore, poichè in caso contrario sarebbe impossibile riappacificate la famiglia e raggiungere ad un accordo sull’affidamento e la visita. Non solo, nei tribunali civili spesso richiedono alle vittime di incontrare il partner violento in mediazione, a prescindere dalla denuncia di abuso da parte della vittima e senza uno screening o valutazione del rischio, fino a quando non viene raggiunto un accordo “amichevole.
Il Parlamento Europeo ha manifestato la stessa preoccupazione per ciò che avviene nei tribunali europei quando non sanzionano la violenza di genere e nutrono pregiudizi che ostacolano la fiducia nelle donne, in particolare per quanto riguarda le accuse ritenute false di abusi sui minori e di violenza domestica. Lo ha dichiarato approvando la risoluzione che, lo scorso mese di ottobre, ha condannato l’uso del costrutto della sindrome di alienazione parentale e concetti analoghi che si fondano su stereotipi di genere e operano a scapito delle donne, vittime di violenza, colpevolizzandole. Il problema della vittimizzazione istituzionale delle donne sta diventando sempre più presente nel discorso pubblico sulla violenza maschile contro le donne anche grazie alle azioni politiche e alla denuncia che le organizzazioni per i diritti delle donne, le attiviste e i centri antiviolenza fanno da anni, chiedendo un cambiamento radicale. La risposta dello Stato italiano però continua ad essere centrata soprattutto sugli interventi securitari, ma si tratta di uno strumento spuntato se poi la violenza non viene riconosciuta da giudici e asssistenti sociali e non si realizzano interventi politici mirati all’empowerment delle donne e all’abbattimento delle disparità che sono alla radice del femminicidio.
Nadia Somma