L’intervento della Presidente D.i.Re Antonella Veltri all’evento di presentazione della relazione conclusiva della Commissione di inchiesta sul Femminicidio in Senato

Buongiorno a tutte. Buongiorno a tutti.

Grazie a Valeria Valente, Presidente della Commissione femminicidio nella XVIII legislatura, senatrice della Repubblica.

Oggi D.i.Re è qui perché, come Rete nazionale antiviolenza, che accoglie, in un progetto 82 organizzazioni di donne, con  106 centri antiviolenza e 60 case rifugio in 19 regioni d’Italia, abbiamo ben volentieri aderito all’invito per riportare l’esperienza sul campo di chi accoglie oltre 20 mila donne l’anno, pur avendo scelto consapevolmente di non partecipare in qualità di esperte ai lavori della Commissione. 

La nostra è stata un’ interlocuzione esterna  di un’associazione  esperta e femminista, volutamente non istituzionale, che opera sempre nell’interesse delle donne. 

Dico subito che – come associazione nazionale – riteniamo molto importanti e utili le indagini e i conseguenti risultati ottenuti dalla Commissione: indagini preziosissime, come quella sui tribunali, quella sui fascicoli relativi ai femminicidi, quella sul civile. 

Possiamo dire che grazie ai lavori svolti possiamo confermare con maggiore sicurezza quanto i nostri centri registrano e rilevano da anni. 

Abbiamo in definitiva numeri e analisi che non avremmo altrimenti. Un contributo fondamentale alla conoscenza del fenomeno, dunque, che istituzionalmente rafforza e conferma quello che D.i.Re sostiene da tempo sui tanti aspetti del sistema complesso della violenza alle donne che meriterebbero approcci differenti da parte delle istituzioni tutte.

Abbiamo deciso, pur essendo esperte competenti e responsabili, di rimanere fuori dal contesto della commissione perché abbiamo ritenuto utile fornire il nostro contributo dall’altra parte, dalla parte delle donne che vivono la violenza maschile e noi con loro, al loro fianco mantenendo la libertà di costruire anche criticamente una visione indipendente ma collaborativa, fuori dal contesto delle istituzioni. 

E’ alle istituzioni oggi che mi rivolgo come rete D.i.Re per evitare di cadere nelle chiamate dirette, personali ed individuali nella scelta delle componenti dei luoghi della costruzione delle strategie da mettere in campo per il contrasto della violenza alle donne. 

Maggiore trasparenza e specchiato riconoscimento sono strumenti che devono accompagnare le scelte da fare, nell’utilizzo dell’ufficialità della chiamata, nel rispetto della dovuta forma.

Oggi sono qui a parlare di “esperienza” della rete dei centri antiviolenza e voglio, per questo, subito chiarire l’ambiguità che potrebbe attraversare chi ci ascolta e che riguarda il senso, il valore, il peso dell’esperienza maturata in più di 35 anni di ascolto prestato alle donne che accogliamo.

è Facile attribuire alla parola “esperienza” una connotazione meramente operativa, che riporta il lavoro dei centri al semplice “servizio”. Al contrario, per noi l’”esperienza” è un valore potente, che racchiude vissuti e vite, che trova strade e soluzioni per accompagnare le donne fuori dalla violenza.

Non c’è analisi senza conoscenza, non c’è intervento senza conoscenza.

Chi ascolta le donne ha in mano la conoscenza piena e ricca di sfumature, tante, del fenomeno, ha in mano le chiavi che consentono con autorevolezza, responsabilità e consapevolezza di aprire le porte di un fenomeno che, come diciamo in tante, non è emergenziale, non ha bisogno di misure securitarie, non ha bisogno di strumenti legislativi aggiuntivi, ma ha urgente necessità di essere affrontato tutte insieme, tutti insieme ognuna e ognuno dalla propria postazione e dal ruolo che occupa. Ciascuno nel ruolo che gli e le compete, riconoscendo saperi e pratiche di chi ha fatto sì da oltre 35 anni che del fenomeno si parlasse.

E parliamo, quindi, di azioni di sistema, parliamo di azioni che muovono dalla consapevolezza che la violenza alle donne va riconosciuta come violazione dei diritti umani, va riconosciuta nella sua deflagrante portata distruttiva della vita delle donne che la attraversano. Va riconosciuta come espressione della disparità di potere tra uomini e donne nell’attuale organizzazione sociale ed economica. 

E’ ben strano che si parli di ricerca di pari opportunità, è ben strano che si parli di “inclusione” delle donne, essendo le donne l’unica maggioranza trattata come una minoranza. Chi dovrebbe includerci? Chi dovrebbe rendere pari le opportunità della maggioranza? Usciamo da questo teatro dell’assurdo, in cui cadono anche a volte donne. Le donne non hanno bisogno di elemosine, né di vuote parole. Serve una strategia chiara che le renda libere.

La nostra esperienza è l’esperienza che dà conoscenza competente, che indica i percorsi e le azioni da muovere per rendere possibile il cambiamento culturale di cui tutte e tutti oggi parlano e di cui le istituzioni devono saper cogliere l’indirizzo per attuarlo. 

Troppo spesso e abbastanza diffusamente i centri antiviolenza vengono relegati e confinati in uno spazio certo importante che però non rende giustizia dell’enorme lavoro che le attiviste e le operatrici fanno: i centri non accolgono solo le donne, che è già moltissimo perché le accompagnano fuori dalla violenza nel rispetto della loro volontà, i centri sono spazi di libertà in cui si costruisce la cultura del rispetto dei diritti, in cui si veicola il senso dello stare al mondo libere e solidali superando i macigni degli stereotipi che nutrono la subcultura della violenza.

Affermiamo ancora una volta di essere sapientemente agenti competenti del cambiamento culturale che pratichiamo da anni e al quale ci ispiriamo nella pratica dell’accoglienza alle donne.

Ed è per questo che oggi siamo qui anche per ribadire che questa ultima intesa Stato-Regioni non ci soddisfa pienamente, che il Piano Nazionale antiviolenza è uno strumento utile se rispetta e fa rispettare i tempi giusti nell’erogazione dei finanziamenti e riconosce il valore giusto ai luoghi del cambiamento. 

Leggiamo nell’Intesa un chiaro tentativo politico di legittimazione dei centri per uomini maltrattanti, nonostante non ci siano ancora ricerche sulla loro efficacia, e soprattutto una pericolosa equiparazione fra questi e i Centri antiviolenza.

Centri antiviolenza e Centri per uomini autori di violenza operano da due prospettive profondamente diverse che non possono essere confuse e che non devono essere sovrapposte. 

Ci siamo ampiamente espresse su questo ma il provvedimento è stato approvato senza di fatto ascoltare la voce di chi da anni lavora nell’antiviolenza. 

Uno dei punti più critici, più volte denunciato dalla Rete D.i.Re, riguarda il contatto diretto dei centri per maltrattanti con le donne in fuoriuscita da situazioni di violenza che, di fatto, apre pericolose porte alla mediazione. 

Nessun Centro antiviolenza interloquisce con maltrattanti o fa mediazione, così come è anche previsto dalla Convenzione di Istanbul. 

L’ Intesa Stato-Regioni ci mostra però che dovremo, di nuovo, difendere anche questi punti fermi. 

E’ per queste ragioni che la Rete D.i.Re ha inviato al Dipartimento Pari Opportunità – e comunicato in una nota stampa – la richiesta di sospensione dei requisiti minimi sia per i Centri antiviolenza che per i centri per uomini maltrattanti, in ragione anche del metodo utilizzato: la revisione dei requisiti minimi dei Centri Antiviolenza ha avuto tempi e modi che non hanno consentito interventi concertati e non hanno permesso di poter rielaborare un pensiero calato nella realtà.

E’ vero siamo state ascoltate, e a giusto titolo, nella definizione dei requisiti minimi che definiscono i centri antiviolenza. Ne siamo state liete. Non altrettanto soddisfatte e liete dei risultati che ci relegano ancora a spazi di servizio pur accogliendo in parte e solo in parte i nostri contributi. 

Continueremo a starci nei luoghi delle istituzioni, se questo sarà ancora possibile come ci auguriamo, perché crediamo che solo attraverso uno scambio proficuo e rispettoso tra le istituzioni preposte e la così detta società civile delle donne si potranno costruire le regole del cambiamento culturale.

Non accetteremo quanto è già accaduto a partecipazioni di facciata che ci espongono, espongono le donne, a manipolazioni e raggiri ingiusti e comunicano un malcelato senso della partecipazione. 

Cosa ci aspettiamo, cosa ci auguriamo, cosa temiamo.

Saremo in prima linea per difendere e mantenere i diritti acquisiti, conquistati dal movimento delle donne perché crediamo nei valori dell’autodeterminazione e della libertà delle donne, in primo luogo dalla violenza.

Saremo in prima linea nell’evitare la restaurazione di un presunto ordine familiare che oscura e nasconde, relega e confina le donne in ruoli e posizioni che non rendono giustizia alla parità e alla libera scelta di ognuna di noi. Sappiamo bene che la famiglia tradizionale, frutto del patriarcato, è il teatro dove nell’80% dei casi si consuma la violenza nelle sue varie dimensioni e forme.

Saremo vigili, sapremo leggere le azioni – magari non frontali – che tenteranno di sabotare i diritti conquistati, perché teniamo tutte, abbiamo tutte a cuore la libertà e il desiderio di vivere nel rispetto delle diversità e della volontà di costruire comunità accoglienti di tutte le diversità”

Roma, 24 novembre 2022 | Palazzo Giustiniani

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