D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza ha elaborato anche per il 2023 la fotografia della Rete dei centri antiviolenza e delle attività realizzate sul territorio nazionale.
Il nuovo report registra una sostanziale crescita delle risorse impiegate a sostegno delle donne. Ciononostante, tali risorse continuano a essere complessivamente non sufficienti, dimostrando l’importanza di un maggiore supporto da parte delle istituzioni, dei finanziatori pubblici (Regioni e Comuni) e di quelli privati.
“Nonostante i dati relativi ai finanziamenti appaiano positivi, i centri antiviolenza sopravvivono nonostante da parte delle istituzioni manchi un approccio che riconosca il loro valore, così come delle loro attività di accoglienza e prevenzione” dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “Sul territorio nazionale c’è una totale disomogeneità dei contributi pubblici e delle modalità di collaborazione, disomogeneità che crea confusione e disuguaglianze” continua Veltri. “Se vogliamo che i centri antiviolenza possano davvero fungere da argine alla violenza e da motore di cambiamento, anche grazie alle attività di prevenzione, è indispensabile che vengano riconosciuti come soggetti autorevoli e adeguatamente finanziati” conclude la presidente.
Vivendo principalmente di volontariato, i centri antiviolenza della Rete D.i.Re possono contare su risorse economiche non ancora sufficienti a garantire sempre risposte adeguate. Le risorse provenienti da finanziamenti pubblici sono superiori a quelle di natura privata. I soggetti erogatori di finanziamenti pubblici sono, nell’ordine, le Regioni, con il 79,5% (81,9% nel 2022; 80,2% nel 2021) e i Comuni per ben oltre la metà di essi (61,9% nel 2022; 50,1% nel 2021). Sono proprio i Comuni la fonte principale di sostegno economico per i centri.
Quanto al finanziamento privato, è in crescita di 11 punti percentuali rispetto al 2022. Aumenta anche l’autofinanziamento, del 9%.
Le organizzazioni della Rete sono attualmente 87 e gestiscono 117 centri e 218 sportelli antiviolenza, oltre a 66 case rifugio su tutto il territorio nazionale. I centri garantiscono alle donne accoglienza, ascolto e possibilità di assistenza legale nella totalità dei casi. Offrono consulenza psicologica e percorsi di orientamento al lavoro in percentuali superiori al 92% dei casi.
Nei 112 centri antiviolenza su 117 che hanno partecipato alla raccolta dati, le donne accolte nel 2023 sono state 23.085 (+ 11,5% sul 2022) di cui 16.453 nuove (+ 15% sul 2022).
“L’incremento di centri e sportelli antiviolenza e di donne accolte dimostra il valore della presenza della Rete sul territorio” dichiara Antonella Veltri “Questa crescita rende ancora più evidente l’urgenza di politiche nazionali di sostegno ai centri antiviolenza, che ancora oggi basano le loro attività prevalentemente sul volontariato” conclude la presidente.
Sono le volontarie, come per gli anni precedenti, a sostenere le attività dei centri. Tuttavia, rispetto al 2022, si registra un incremento di oltre 4 punti percentuali per le attiviste retribuite totali e di 7 punti percentuali per le attiviste retribuite nuove.
Il 46,5% delle donne che si rivolgono a un centro della Rete ha età compresa tra i 30 e i 49 anni, riflettendo un andamento stabile nel tempo. Sono prevalentemente donne italiane, anche se, nel 2023, almeno una su quattro è di nazionalità straniera. Quasi una donna su tre, tra quelle che si sono rivolte ai centri antiviolenza, non ha un lavoro e meno della metà (41,1% tra occupate e pensionate) può contare su un reddito sicuro.
Le forme di violenza subite dalle donne che si rivolgono ai centri della Rete sono multiple e di varia natura, consolidate nel tempo. La più frequente è quella psicologica – subìta dalla grande maggioranza delle donne (82,2%) – seguita da quella fisica (56,5%). Almeno una donna su tre subisce violenza economica, mentre la violenza sessuale e lo stalking sono riscontrati in un numero di casi più basso (16,9% e 16,3% rispettivamente).
L’autore della violenza è prevalentemente italiano: soltanto il 26% ha provenienza straniera e questo dato, oramai consolidato negli anni con scostamenti non significativi (nel 2022 era del 28%), mette in discussione lo stereotipo diffuso che vede il fenomeno della violenza maschile sulle donne ridotto a retaggio di universi culturali situati nell’“altrove” dei Paesi extraeuropei.
Quasi sempre l’autore della violenza è il partner oppure l’ex partner. Questo significa che nel 74,2% dei casi (80,5% nel 2022, 79,8% nel 2021) la violenza viene esercitata da un uomo in relazione affettiva con la donna.
Le violenze, soprattutto quando agite dal partner o dall’ex-partner, possono sfociare in situazioni di grave pericolo sia per la donna sia per i suoi figli e figlie. Le case rifugio rispondono alla necessità di allontanarsi dall’abitazione familiare, come unica soluzione percorribile per evitare ulteriori e più gravi violenze. Nel 2023 i centri che dispongono di almeno una casa rifugio sono complessivamente 66, corrispondenti al 59%. Si registra anche per il 2023, come per gli anni precedenti, un aumento degli appartamenti di cui le case dispongono (si passa da 198 nel 2022 a 227 nel 2023) e una disponibilità di 1.190 posti letto. Ciononostante, l’offerta risulta ancora insufficiente, tanto è vero che 673 donne non hanno potuto trovare ospitalità.