Anna Costanza Baldry*
Era l’11 settembre 2011 quando a 10 anni dal terribile attacco terroristico che ha sconvolto l’America e tutto il mondo, su un noto magazine americano erano pubblicate in copertina e nel servizio principale di quel numero le foto e le storie dei figli orfani che in quel tragico giorno avevano perso entrambi i genitori.
Rendeva onore l’articolo alle loro vite sopravvissute a una tragedia, a come stavano oggi, dopo 10 anni da quell’improvviso e irreparabile trauma.
Leggendo l’articolo e riflettendo su quegli orfani, il mio pensiero però è andato immediatamente agli orfani che conosco purtroppo meglio. E ho pensato agli orfani speciali, quei tanti orfani di mamme uccise dai padri. Tanti, tantissimi ma ignorati e segregati. Come stanno oggi, dopo 5, 10, 15 anni da quel tragico e assurdo giorno? Chi sono? (who), dove sono adesso? (where), e cosa è accaduto loro, dove stanno, con chi? (what). Da qui il progetto www.switch-off.eu
Mi sono anche accorta che di dati su questi orfani ‘speciali’, orfani due volte, della mamma uccisa dal padre, del padre che in alcuni casi si è suicidato (nel 30% dei casi di femminicidio), o comunque lontano, in carcere con responsabilità genitoriale sospesa o decaduta.
A questi figli cosa è stato detto? La legge cosa ha fatto di loro? E quegli adulti che si sono ritrovati ad aprire le loro case che sostegno psicologico ancora prima che economico è stato dato, se è stato dato, dovendo loro stessi, i familiari delle vittime, elaborare il loro di lutto e trauma, nonché gestire tuti i problemi sociali e giuridiche derivanti dall’omicidio? Come stanno adesso questi orfani? Il tempo, come ingenuamente si dice a chi subisce un lutto, ha fatto dissolvere quel dolore insopportabile che diventa quasi fisico da quanto è intollerabile e profondo e senza senso?
Avere una mamma morta di una malattia o in un incidente comporta il sostegno e la vicinanza sociale della comunità, degli amici, della scuola, ma se la mamma è morta in quel modo, a seguito del femminicidio, la reazione sociale è la stessa? O esistono stigmatizzazione e giudizi nei confronti i questi orfani, doppiamente vittimizzati e purtroppo a volte anche abbandonati e stigmatizzati? Essere ‘figlio di…’ è vissuto come uno stigma sociale difficile da allontanare.
Mi sono sentita in dovere poter dare a questi orfani, a tutti, anche quelli la cui mamma è stata uccisa tanti anni fa, anche se hanno una nuova vita, di raccontare la loro storia e di farla raccontare a coloro che si sono presi cura di loro, senza spesso avere nulla in cambio se non quella gioia impagabile di poter vedere quell’orfano riuscire a pensare che in fondo la vita ha un senso ed è un privilegio, e che nessuno, nessuno ha il diritto di portarla via.
Studiando e cercando mi sono resa conto che sono pochissimi gli studi fatti in Europa o da altre parti nel mondo che hanno messo luce a questa parte oscura del femminicidio: cosa succede a loro. Le luci dei riflettori delle telecamere si oscurano, i processi si concludono, il tempo sbiadisce il ricordo delle nostre coscienze che lì per lì hanno avuto una parola di pietà per questi bimbi, e lo stesso hanno fatto anche quegli operatori sociali e della giustizia e delle forze dell’ordine che nell’emergenza hanno cercato di mettere le toppe a una situazione imprevista, forse nuova, a cui nessuno è preparato.
Per la realizzazione di questo progetto è stata coinvolta la Rete nazionale dei Centri antiviolenza D.i.Re che come partner si è occupata, con il coinvolgimento in particolare anche di alcuni centri della ‘ricerca di queste famiglie’ per poterle intervistare direttamente e conoscere da loro storie, vissuti, racconti. Siamo riuscite a trovare 136 orfani di cui 33 maggiorenni al momento dei fatti e 103 minorenni. I risultati dell’indagine, che ha visto coinvolta anche Cipro e la Lituania e capofila del progetto Europeo il Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli è stato finanziato dalla EU, (progetto – JUST/2012/DAP/AG/3242) saranno presentati a settembre 2015 insieme a D.i.Re per fornire risposte concrete grazie alle linee guida redatte che evidenziano i bisogni principali di questi orfani e le risposte essenziali per ridurre il rischio di vittimizzazione secondaria. Riflessioni utili anche per i centri antiviolenza e il loro importante operato.
Per maggiori informazioni: info@switch-off.eu, www.switch-off.eu
*Docente di Psicologia sociale, Dipartimento di psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli