Il 9 settembre Sara Coinu, di 34 anni è stata uccisa dal marito, il 16 settembre Alessandra Pelizzi, 19 anni viene gettata dall’ex fidanzato dal balcone e il 17 settembre Carla Garrone, 69 anni, è stata uccisa dal fratello che ha dichiarato alla polizia di averla “giustiziata”.
La cultura del femminicidio racconta così l’assassinio di una donna, come un atto di “giustizia” che l’uomo è chiamato a compiere contro colei che vìola un ordine ed una legge non scritta ma ancora radicata nella società post patriarcale. Lasciare il partner o il marito, pretendere la propria parte di eredità, entrare in conflitto con un uomo, ancora oggi, può significare la morte per troppe donne.
Qualche dato di cronaca degli ultimi giorni insieme ai “numeri” dello scorso mese di agosto – nove donne uccise da partner o ex partner – confermano l’avvilente e triste onda cadenzata di una donna uccisa ogni tre giorni/quattro giorni.
Il fenomeno della violenza maschile contro le donne non può essere sconfitto in undici mesi grazie ad un decreto legge che inasprisce le pene. D.i.Re ribadisce che solo con politiche e interventi sistemici e integrati si può affrontare il problema.
Il decreto legge 119 del 15 ottobre 2013, quello cosiddetto sul femminicidio, è in vigore da quasi un anno e i dati forniti ad agosto dalla Direzione Centrale di Polizia Criminale indicherebbero, paragonando il periodo 14 agosto 2013 – 31 luglio 2014 con quello del 2012-2013, un calo delle uccisioni delle donne (-5,26%) anche nell’ambito delle relazioni di intimità (-3,81%). E’ troppo poco per pensare ad un cambiamento nell’incidenza del fenomeno. Sempre nello stesso periodo considerato, sarebbero in calo le denunce per lesioni e atti persecutori ma in aumento quelle per maltrattamenti in famiglia.
I centri antiviolenza chiedono da anni di disporre di dati disaggregati per genere sul fenomeno della violenza contro le donne con una rilevazione dei dati sistematica e omogenea su tutto il territorio nazionale che coinvolga i servizi responsabili (forze dell’ordine, pronto soccorso, servizi socio sanitari, etc.) con l’adozione di metodologie e standard internazionali. In assenza di un Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne è doveroso essere cauti sull’analisi dei dati che si riferiscono al fenomeno.
È persino banale osservare che un calo o un aumento di denunce non coincide necessariamente con la diminuzione o l’incremento delle violenze e sarebbe utile un maggiore approfondimento. Sarebbe opportuno raccogliere informazioni sul percorso della donna dopo la denuncia all’autorità giudiziaria per verificare come si è evoluta la situazione, se è stata indirizzata o accolta in un centro antiviolenza o in un luogo protetto, se la minaccia della violenza è cessata oppure no.
Il fenomeno della violenza contro le donne avviene soprattutto nelle relazioni di intimità e quindi ha una consistente componente sommersa e, in assenza di indagini statistiche che lo rilevino, non si possono fondare analisi solo sull’andamento statistico delle denunce raccolte dalle forze dell’ordine. Fino ad oggi le uniche indagini statistiche fatte, a livello nazionale, sul fenomeno dei maltrattamenti contro le donne, sono quelle dell’ISTAT nel 2006 e si attendono i risultati di quella che è attualmente in corso.
D.i.Re ribadisce la necessità che il Governo Renzi riconosca nei Centri Antiviolenza i referenti privilegiati e di qualità nel prevenire e contrastare la violenza maschile alle donne.
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