Nadia Somma*
In Italia non solo l’obiezione di coscienza della 194 ma anche l’abuso di obiezione di coscienza mette a rischio la salute delle donne e lede i loro diritti sessuali. Poco più di un mese fa è accaduto un fatto che ha scosso l’Italia su cui sta indagando la Procura catanese. Il 16 ottobre è morta Valentina Miluzzo, aveva 32 anni ed era incinta al 5 mese di due gemelli. Era stata ricoverata alla fine di settembre per una dilatazione all’utero scoperta dopo un’ecografia. Dopo una quindicina di giorni di ricovero, le gravi complicazioni e la morte per sepsi.
Nella denuncia presentata dai familiari, l’ospedale viene accusato di aver lasciato Valentina per ore senza una adeguata assistenza tra dolori atroci e febbre alta e alla loro richiesta di procedere con un aborto, il ginecologo in turno avrebbe risposto di non poter intervenire finché si sentiva il battito cardiaco: “Sono obiettore di coscienza e la natura deve fare il suo corso”. Sulla morte di Valentina la Laiga e Vita di Donna hanno sollevato interrogativi e il primo fra tutti è: da quanto tempo il sacco della placenta di Valentina era rotto? Lisa Canitano (Vita di Donna) ha dichiarato, in diverse interviste, che nei reparti di ginecologia e ostetricia dove c’è l’obiezione e nelle strutture ospedaliere religiose non si interviene con un aborto nei casi di rottura del sacco della placenta finché c’è il battito cardiaco del feto. A volte trascorrono giorni e il rischio di infezioni aumenta. Anni fa, a Roma, capitò il caso di una donna che dopo otto giorni dalla rottura del sacco della placenta cominciò ad avere complicazioni ma la struttura religiosa dove era ricoverata si rifiutò di intervenire perché il cuore del feto batteva ancora.
La salvezza è stato un volo aereo per Atene e 4mila euro per pagare un’interruzione di gravidanza. Una situazione simile a quella di Savita Halappanavar che non poté salvarsi prendendo un aereo e morì di sepsi a Dublino dopo giorni di agonia. In Irlanda l’interruzione volontaria di gravidanza è prevista solo in caso di grave malformazione del feto e imminente pericolo di vita della madre ma l’Italia non è l’Irlanda, o meglio non dovrebbe esserlo. L’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 ma non può diventare obiezione di intere strutture e il Governo ha il dovere di rendere applicabile la legge perché è in gioco la vita e salute e la libertà di scelta delle donne. Questo è un braccio di ferro che va avanti da decenni sulla vita e la salute delle donne.
L’autodeterminazione delle donne deve essere di nuovo centrale nelle politiche sulla salute riproduttiva anche per contrastare le recenti iniziative del ministero della Salute che con la campagna sul Fertility day mette al centro delle politiche sulla salute, il ruolo riproduttivo e materno delle donne. Dall’altra parte nessuna iniziativa è stata mai presa dai Governi che si sono succeduti per affrontare il problema dell’obiezione di coscienza contro la 194 che senza un tetto, è divenuta negli anni obiezione di intere strutture, una sorta di Cavallo di Troia che smantella la legge.
L’Italia è già stata condannata due volte dal Comitato Europeo sui Diritti Sociali del Consiglio d’Europa per la mancata applicazione della legge 194. Nell’aprile scorso è stato accolto il ricorso presentato dalla Cgil e l’8 marzo del 2014 venne accolto il ricorso presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood Federation European Networktato e dalla Laiga. Eppure il ministero della Salute nega che ci siano problemi legati alla mancata applicazione della legge anche se i dati sull’obiezione ci dicono le percentuali di obiezione tra i ginecologi sono superiori all’80%: in Molise(93,3%), in Basilicata (90,2%), in Sicilia (87,6%), in Puglia(86,1%), in Campania (81,8%), nel Lazio e in Abruzzo (80,7%) e il rischio che le donne ricorrano all’aborto clandestino è elevato perché in 4 strutture pubbliche su 10 è davvero difficile ricorrere all’Ivg. Il governo invece sostiene che gli aborti sono in calo e infatti il nostro Paese ha un tasso di abortività inferiore del 9-10% rispetto a Paesi come Gran Bretagna, Francia, Svezia eppure, nonostante le due condanne, nessun approfondimento viene fatto per capire quanto incida il numero di obiettori di coscienza nella mancata applicazione della 194.
La Laiga, Vita di Donna e la CGIL denunciano questa situazione da anni ed per il 22 novembre hanno organizzato una conferenza stampa alla Casa Internazionale delle Donne (alle 15 in via della Lungara, 19 a Roma) dove parleranno dell’ abuso dell’ obiezione di coscienza. Nel loro comunicato spiegano che: “ Gli anestesisti non fanno le anestesie, gli attrezzisti di sala non preparano i ferri per gli interventi abortivi, le infermiere non trasportano barelle con pazienti che devono effettuare l’interruzione di gravidanza, con la diretta conseguenza che i pochi medici non obiettori di coscienza devono espletare anche queste attività, togliendo tempo al lavoro vero e proprio”. Negli anni passati alcune sentenze hanno sanzionato l’abuso di obiezione di coscienza (Tribunale di Ancona 1979 e di Penne 1983 per omissione di atti d’ufficio art. 328 c.p.) che secondo la legge 194, riguarda attività legate in “senso spaziale, cronologico e tecnico all’intervento abortivo nel momento in cui non sia più data la possibilità di desistenza di abortire” è quindi illegittimo mettere in gioco l’obiezione di coscienza in situazioni che precedono o seguono l’aborto. Si configurano così non solo reati ma anche atti di pura ostilità nei confronti delle donne o mirati a boicottare l’applicazione della legge che sfociano in quello che non dobbiamo esitare a definire maltrattamento Negli anni sono state denunciate le umiliazioni che le donne subiscono nei reparti di ginecologia e ostetricia dal personale medico e paramedico.
La cruda testimonianza di Laura Fiore in Abortire tra obiettori ne è un esempio. Alcune donne che si sottopongono a ivg, sono lasciate senza assistenza per ore, altre hanno dovuto espellere il feto da sole, nei bagni, assistite solo da familiari. Altre hanno subito insulti e ostilità aperta che in un momento delicato come quello della scelta di abortire, sono vere e proprie crudeltà dettate dalla misoginia e dal sessismo. E’ gravissimo che tutto questo accada nelle corsie di ospedale dove le donne dovrebbero ricevere assistenza, cure adeguate e rispetto della loro dignità.
Anche per questo è importante il 27 novembre sedersi ai tavoli organizzati da Non Una di Meno.