Gentile dottoressa Del Tedesco,
abbiamo letto – sull’edizione del 10 agosto di Open – l’intervista che ha rilasciato in merito al femminicidio di Iris Setti, avvenuto la sera del 5 agosto per mano di C.N., a seguito di un violentissimo pestaggio.
Le dichiarazioni che lei ha rilasciato alla stampa ci hanno profondamente turbate, sia per il tono che per il modo.
Comprendiamo che la Giustizia abbia tempi ed esigenze probatorie che – in virtù delle garanzie costituzionali – possono limitare l’azione della magistratura e sappiamo che l’intervento securitario non può essere l’unica risposta per intervenire su soggetti con problemi psichiatrici o devianti, che hanno comportamenti violenti e pericolosi. Tuttavia, nell’ intervista sopra citata abbiamo letto dichiarazioni che non sono pertinenti e accettabili, soprattutto poiché riferite al contesto in cui una donna è stata aggredita, forse per un tentativo di violenza sessuale, e uccisa a botte mentre gridava disperatamente aiuto.
E non sono accettabili anzitutto da parte di una rappresentante delle Istituzioni, una Procuratrice della Repubblica. Non comprendiamo cosa c’entri con la ricostruzione dei fatti che l’assassino avesse “un fisico spettacolare” o, peggio, che “doveva fare i mondiali di pugilato”. Una frase che ci ha lasciate senza fiato, perché quel fisico che lei considera “spettacolare” e la forza di quei pugni, hanno devastato il volto di Iris Setti fino a sfigurarla e a causarne la morte.
Dottoressa Del Tedesco, dobbiamo ricordarle che è stata uccisa una donna di 61 anni mentre tornava a casa. È di questo che si sta parlando, non di un atleta che ha perso l’occasione di gareggiare alle Olimpiadi.
Un’altra osservazione che ci preme fare è sulla moglie e la figlia di N., che si trovano in una struttura protetta. Davvero non c’erano segnali di pericolosità in quest’uomo? Le sorelle dell’assassino avevano chiesto aiuto, denunciando comportamenti violenti e chiedendo il ricovero del fratello in un reparto di psichiatria affinché fosse sottoposto a TSO.
Non spetta ai familiari di persone devianti o psichiatriche contenerne la violenza. Né aiutarli a risolvere problemi di disoccupazione o di altra natura, con cui spesso si giustificano erroneamente violenze o maltrattamenti in famiglia.
Respingiamo anche la colpevolizzazione dei familiari per “averlo isolato”: i familiari dei violenti non isolano gli autori di violenza, cercano di tutelarsi e di sopravvivere; chiedono aiuto alle Istituzioni, che hanno il dovere di fare tutto ciò che è in loro potere per evitare il peggio.
Ci domandiamo ancora una volta, se a fronte di denunce per violenza, i tribunali o le forze dell’ordine eseguano la valutazione del rischio; e ancora: quali carenze del sistema giudiziario o sociosanitario – nel caso di persone psichiatriche – portino all’abbandono a loro stessi di familiari e di persone che, per puro caso, si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Porsi domande e chiedersi se la morte di un essere umano avrebbe potuto essere evitata, non sono “cazzate”, è un dovere. Riflessioni che non si possono fare banalizzando crimini o assumendo la puntualità di soggetti problematici come parametro che dimostri l’assenza di pericolosità.
È stato fatto il possibile per evitare la morte di Iris Setti? La domanda per noi resta aperta.