Il vecchio video del dott. Davigo che illustra i mali della giustizia italiana attraverso l’esempio della “soppressione” del coniuge sembra molto divertente, ma noi non ridiamo.
È l’ennesima banalizzazione della violenza maschile sulle donne. Parla della “soppressione del coniuge” anche se i dati ci dicono che vengono “soppresse” statisticamente più spesso le donne, compagne e mogli. Illustra poi quanto è facile la concessione delle varie attenuanti previste dal nostro codice, fino ad arrivare a 3 anni da scontarsi in misure alternative alla detenzione! Eppure. Noi che le donne le difendiamo dentro le aule di giustizia tutti i giorni sappiamo che tali automatismi e tale indulgenza ricorrono in modo particolare nei reati di violenza di genere e che sono dovuti a pregiudizi e stereotipi radicati nella cultura italiana.
A noi non fa ridere.
Il problema nell’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza non è il meccanismo delle attenuanti e aggravanti previsto dal nostro codice. Così come il problema non sono le garanzie di un giusto processo, nel quale crediamo fermamente. Il problema è che attenuanti e aggravanti sono troppo spesso influenzate da pregiudizi e stereotipi radicati nella nostra cultura.
Se l’illustre magistrato avesse usato un altro reato quale esempio, molti dei paradossi citati non sarebbero stati applicabili, neanche pensabili: tali automatismi e tale generosità vengono applicati particolarmente ai casi di violenza maschile sulle donne, che è troppo spesso banalizzata nei tribunali, come è banalizzata nel divertente video di cui si tratta.
Noi che le donne le difendiamo tutti i giorni dentro e fuori le aule di giustizia non ridiamo affatto. I problemi dell’accesso alla giustizia per le vittime di violenza non sono certo i sacrosanti principi del giusto processo (che tale sarebbe se fosse scevro da stereotipi) e le garanzie per l’imputato, come certamente non lo è la prescrizione, anzi.
Gli ostacoli sono il pregiudizio, gli stereotipi, la vittimizzazione secondaria e sì, anche i tempi: l’accertamento di un reato dopo 15 anni non ha alcun senso per la vittima che finché la sentenza non è definitiva fatica a lasciarsi la violenza completamente alle spalle.
No, non c’è niente da ridere.
Gruppo avvocate D.i.Re