Lella Palladino*
Agghiacciante affresco sulla condizione delle donne in Medio Oriente ed in Nord Africa, la lettura del libro di Mona Eltahawy è un’occasione straordinaria per poter riflettere su quanto sia importante che il mondo islamico nella sua complessità sia raccontato da chi lo vive e su come l’incontro con culture altre possa generare la capacità di ribellarsi alla propria. È l’impatto con le regole della segregazione sessuale in Arabia Saudita che Mona scopre dopo essere cresciuta a Londra che le apre gli occhi fin dalla prima adolescenza sul mix velenoso di misoginia e religione che sfocia nell’odio verso le donne e ne limita pesantemente la libertà.
In Egitto, come in Libia, in Tunisia, come in Marocco, in Arabia Saudita come in Kuwait, le mutilazioni genitali, i test della verginità, i matrimoni precoci, le molestie sessuali legittimate ed impunite , il divieto di guidare, di poter disporre di un patrimonio personale, di poter decidere senza il supporto di un maschio “tutore” dei propri spostamenti, sono lo specchio di una cultura fondamentalmente ostile alle donne, imposta dal disprezzo maschile.
Essere femmina significa essere l’incarnazione ambulante del peccato e l’odio per le donne non è esclusiva delle interpretazioni conservatrici del corano quali il wahhabismo o salafismo, anche i moderati sono ossessionati dal controllo del corpo delle donne che non deve essere mai mostrato, sostengono le mutilazioni genitali quali strumento indispensabile alla protezione dal loro stesso desiderio sessuale che è bene non imparino mai a conoscere, per quanto, di fatto, come nel resto del mondo, sono gli uomini incapaci di controllarsi e le molestie sessuali sono epidemiche.
Con grande coraggio e sincerità Mona partendo dal racconto di sé, da femminista autentica, affronta non solo i temi il problema delle molestie e della violenza, ma anche la spinosa questione del velo restituendo alla scelta di toglierlo o meno la sua complessità. L’atto di indossare il velo è tutto fuorché semplice, alcune lo fanno per devozione religiosa, per essere identificate come musulmane, per dimostrazione di identità, per essere lasciate in pace, per scampare alle molestie, per disporre di maggio libertà di movimento in uno spazio pubblico dominato dai maschi. C’è chi deve lottare per metterlo e chi è costretta a metterlo, non è sempre simbolo di fede, e non sempre rappresenta il contrasto con il mondo occidentale complice silenzioso delle violazione dei diritti delle donne per tutelare i propri interessi economici in Medio Oriente. Resta forte il bisogno di continuare a lottare finché il corpo femminile sarà la bandiera dell’ acquiescenza al conservatorismo e al patriarcato.
>Con grande lucidità inoltre Mona spiega perché, in un momento di crisi generale a ridosso della stagione che reprime la primavera araba e con essa la richiesta collettiva di libertà e dignità, sia importante parlare della condizione delle donne che hanno sempre dovuto fare due rivoluzioni, una con gli uomini contro i regimi che schiacciano tutti e una contro la misoginia. Nonostante la rivoluzione a cui le donne hanno fortemente contribuito e che hanno pagato con il carcere, le torture e gli stupri, sono rimaste ben nascoste ed invisibili perdendo l’occasione per tutti di smantellare un intero sistema politico ed economico che tratta metà dell’umanità come se fosse in stato d’infanzia.
Nella lotta contro l’ingiustizia per uscire dal buio, Mona esorta a sentire la verità delle donne, conoscere le loro esistenze reali, ascoltare le donne che svelano gli abusi subiti ma anche le donne che svelano la gioia degli spazi conquistati, che affermano i propri bisogni e desideri ed il piacere del sesso. Sarà questo che metterà fine al dominio maschile, la resa dei conti essenzialmente femminista che alla fine ci libererà, come dice lei stessa:
“Le donne -la rabbia, la tenacia, l’audacia e il coraggio delle donne-
libereranno i nostri Paesi”