8 Marzo 2016 – Diritti delle donne: a che punto siamo?

Lella Palladino*

È uno scenario confuso e contradditorio quello che si presenta a chi osserva il nostro paese con sguardo attento: abbiamo il Parlamento con la più alta percentuale di donne nella storia della Repubblica e un governo a composizione quasi paritaria, proviamo a stare al passo con l’Europa introducendo nel nostro ordinamento norme ed istituti di contrasto alle discriminazioni e di tutela della pari opportunità per tutti, ma questo è sufficiente per  parlare di autentico avanzamento della soggettività, della libertà, dei diritti  delle donne?

La realtà è altra, in Italia assistiamo ad un arretramento complessivo delle condizioni di vita delle donne, espulse dal mercato del lavoro, con carichi di cura insostenibili a causa dei tagli al welfare, ancora alle prese con la violenza maschile che continua a fare vittime in assenza di una politica pubblica  coerente ed integrata.  Il conflitto di genere neutralizzato sembra essere la nuova trappola, così scontiamo l’assenza di una Ministra alle Pari Opportunità che dovrebbe curare la regia degli interventi, pretendere il rispetto delle leggi e delle Convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato e che restano disattese, e scontiamo la mancanza di una direzione del Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio che è fermo e affidato unicamente alla buona volontà dei singoli funzionari. Facciamo fatica a orientarci tra provvedimenti enunciati con enfasi e la loro discutibile e spesso inesistente applicazione.

Lo abbiamo già denunciato pubblicamente: le risorse della 119 che dovevano servire a sostenere i centri antiviolenza allo stremo sono state erogate in pochissime regioni e non sempre con trasparenza; la possibilità per le donne vittime di violenza maschile di usufruire di 3 mesi di aspettativa per i maltrattamenti subiti, prevista nel decreto attuativo del Jobs Act, è inesistente perché l’ INPS non ha recepito la norma con una circolare attuativa; il Fondo di solidarietà sperimentale a tutela del coniuge in stato di bisogno previsto dalla Legge di stabilità e istituito presso il Ministero della Giustizia, di cui il governo si è fatto vanto davanti al Paese intero, è costituito solo di 250mila euro per l’anno 2016 e 500mila euro per il 2017 e non è dovuto ai figli nati fuori dal matrimonio, una grave violazione del principio di parità. Ci siamo opposte al “Percorso di tutela delle vittime di violenza”, già “codice rosa o codice rosa bianca” approvato con la legge di stabilità che assimila la violenza maschile contro le donne a qualunque altra subita da soggetti “deboli e vulnerabili”, prevede un tracciato rigido, che elude la possibilità alle donne di decidere autonomamente come agire per uscire dalla violenza e pone una grave ipoteca sulla emersione di un fenomeno ancora in gran parte sommerso.

Come se tutto ciò non bastasse a generare un contesto contradditorio nel quale, dietro proclamate dichiarazioni di principio, si nasconde in realtà una concreta negazione di diritti faticosamente acquisiti dalle donne, in questo paese, dove abortire legalmente e in sicurezza sta diventando impossibile, visto che il 70 % dei medici sono obiettori di coscienza, il 15 gennaio scorso nel decreto legislativo sulle depenalizzazioni è stata prevista la cancellazione del reato penale per chi abortisce oltre i 90 giorni di gravidanza, contemplato nella legge 194, ma contestualmente è stato previsto l’inasprimento della multa per il reato di aborto clandestino che era fissata a 51 euro e che ora il Governo ha portato a una cifra fra i 5mila e i 10 mila euro. Questa scelta ignora le ragioni per cui la legge comminava una multa simbolica, cioè permettere alle donne di denunciare i medici che praticavano aborti illegali e, soprattutto, permettere loro di andare in ospedale al primo segno di complicazione e salvarsi la vita senza rischiare la denuncia.

Sarà difficile assistere alle retoriche ed ipocrite celebrazioni pubbliche dell’8 marzo, ma noi lo faremo con la rinnovata consapevolezza che resistere non basta, è ora di tornare in piazza e riaffermare la nostra soggettività.

*Cooperativa Eva, Napoli

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